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Il vero re del Data Marketing è il porno!

Che il Porno sia un business da sempre, e probabilmente per sempre, non è una grossa novità. Ci stupisce però sapere che il grosso del merito va proprio alle grandi compagnie proprietarie delle piattaforme di streaming porno che, a quanto pare, sanno fare benissimo il loro lavoro. E non parliamo certo della mera qualità contenutistica che a volte lascia invece a desiderare. Quello che fanno molto bene è offrirci esattamente quello che vogliamo. E come fanno? Attraverso una capillare raccolta di dati organizzati e sfruttati al meglio. Data Marketing insomma.

 

A suggerirlo è un’inchiesta uscita su Quartz. Pare, infatti, che PornHub raccolga più dati di quanto non facciano i colossi dello streaming come Netflix e Amazon Prime Video. I motivi sono svariati e complessi. Innanzitutto il porno-consumatore è un consumatore tendenzialmente occasionale o comunque si ferma sulla piattaforma solo per pochi minuti. Per questo motivo il fatto che PornHub, You Porn e via dicendo offrano video gratis e senza bisogno di iscrizione è un vantaggio competitivo enorme che ha fatto guadagnare loro un bacino di utenza larghissimo e differenziato. Questo è possibile perché il porno oggi è low cost. Anzi, il pubblico finisce spesso per apprezzare di più la veridicità e il video amatoriale piuttosto che quello prodotto con attori mediocri e poco realista.

 

Beh ridendo e scherzando Pornhub insieme a YouPorn ed a Redtube, tutte di proprietà della holding MindGeek, raccoglie la bellezza di 125 milioni di visite giornaliere. Not bad! E MindGeek non si lascia sfuggire la ghiotta occasione di sfruttare per bene quel patrimonio di dati, ma lo fa unicamente in casa sua, niente compravendita o profitto sulla pelle dei porno consumer. E cosa ci guadagnano allora? Visite e iscrizioni premium. MindGeek infatti ha una logica molto attenta al consumatore, non necessariamente per vendergli qualcosa, ma per soddisfarlo, è proprio il caso di dirlo.

Il lavoro che svolgono è impressionante. I video sono infatti tutti associati a uno script molto dettagliato che indica esattamente cosa sta accadendo in quella determinata scena in quel determinato istante: chi è presente in video (uomo, donna, trans, animale, ecc.) come è vestito o svestito e addirittura qual è il set (casa d’epoca, loft moderno, ambientazione rurale), cose che potrebbero apparire superflue, ma che vanno a segmentare in maniera ultra precisa gli utenti, andando a scovare le loro perversioni e i loro gusti sia inconsci che dichiarati. Altro che l’algoritmo di Netflix, scontato e talvolta già obsoleto: hai guardato una serie con adolescenti, ti propongo altre 8 serie per adolescenti pressoché identiche. Banale. L’abilità sta nel riuscire ad allargare i gusti dell’utente, affinché la sua fame di video o di porno, non finisca mai.

C’è, però, un aspetto più delicato in tutta la faccenda ed è quanto il porno influenzi la società stessa o quantomeno la sua sfera sessuale. Se è vero che le piattaforme offrono ciò che ci piace, è anche vero che in parte decidono cosa farci piacere. Oggi più che mai (visti i numeri del porno) è importante che non ci sia un uso scellerato di questo strapotere da parte dei colossi dei video hard. Ma i ragazzi di MindGeek sembrano avere la testa sulle spalle, tanto che PornHub ha messo online un’intera sezione del suo sito dedicata all’educazione sessuale. Se è vero che tristemente la formazione in materia di sesso è demandata solamente alla rete, tanto vale che lo si faccia coscientemente e in maniera approfondita. Non solo, ma Pornhub ha raccolto di buon grado la sfida alla parità dei generi tanto in voga negli ultimi anni. Partendo proprio dall’hashtag #metoo non si è fatto sfuggire la ghiotta occasione di raccogliere una grandissima fetta di pubblico da sempre (almeno nell’immaginario comune) più ostica al porno: le donne. E da allora, sempre grazie a un attentissimo lavoro sui dati ha sviluppato sezioni ad hoc e ampliato molto la varietà di contenuti per soddisfare anche il più esigente occhio femminile.

Insomma i nostri complimenti a MindGeek e in generale a una buona fetta dell’industria del porno che pur offrendo molti dei suoi servizi gratuitamente riesce a rinnovarsi continuamente e ad avere come focus sempre la soddisfazione finale del cliente.

 

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Site Kit Google: il nuovo plugin WordPress che faciliterà la vita al web marketing

Per ora si tratta di una versione beta che sarà disponibile a inizio anno per coloro che si iscrivono.  Dopo un periodo sperimentale dove probabilmente Google raccoglierà i feedback dei clienti e sistemerà i bug fisiologici, il plugin sarà completamente free. Ne ha parlato per la prima volta Giorgio Tavernitiin uno dei suoi interventi su YouTube, ecco cosa abbiamo capito.

Di cosa si tratta?

Di uno strumento molto utile per le PMI e per tutti coloro che gestiscono un sito business. Infatti il plugin condenserà e renderà accessibili direttamente da WordPress i dati oggi suddivisi e raccolti in: Search Console,  Analytics, AdSense e Page e Speed Insight. Una mole di dati e informazioni decisamente impressionanti. Tra l’altro senza un grosso sforzo per Google essendo già strumenti esistenti che andranno a mescolarsi per creare una super dashboard fondamentale per chi si occupa di indicizzazione e marketing.

Si, in effetti questi strumenti già esistono, non è un vera e propria rivoluzione. Ma quanti possono dire di saper analizzare e utilizzare in maniera proficua i dati della search console ad esempio? Raggruppando diversi tool in un unico plugin Google fa una mossa molto astuta e che gli riesce sempre molto bene: si rende indispensabile senza inventare nulla di nuovo. Esattamente come ha fatto con Gmail e Chrome. Sai che bella idea, una casella di posta, sì ma come tutti sappiamo Gmail è LA casella di posta, così come ormai Chrome è IL browser per cui tutti i siti web si ottimizzano, nonché il browser predefinito da quasi tutti gli smartphone esistenti.

Insomma quando Google mette sul mercato un nuovo prodotto, è per dominarlo, non certo per fare la comparsa. In quest’ottica siamo sicuri che Site Kit farà parlare molto di sé, tanto che siamo qui a scriverne prima ancora che la versione beta sia disponibile. Legando tra loro i 4 strumenti Site Kit farà da cassa di risonanza ad ognuno di essi, alimentando ancor di più il dominio Google della Rete. Beh diciamo pure di tutta la Rete, esclusi i social network, visto e considerato il triste epilogo di Google Plus!

 

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La difficile arte del copy e della soddisfazione del cliente

Ore 17.30.

Anche questa giornata lavorativa sta per volgere al termine, come sempre mi tengo i lavori più meccanici per quest’ora, so che la mia mente è meno lucida, meno creativa e meno attenta.

dlin.

Una nuova mail sulla casella di posta. Il feedback di un cliente che stavo aspettando. Giusto il tempo di leggere le prime due righe e chiudo tutto, ci penserò domani. Ma prima vi spiego.

Non è che io non ami i feedback, al contrario. Noi copy li attendiamo sempre con ansia, ci piace migliorarci se non siamo riusciti a interpretare alla perfezione l’intenzione del cliente. Ma esiste quel tipo di cliente che non ti spiega che cosa voleva far passare e cosa invece sembri aver messo per iscritto tu. Esiste quel cliente che ti fa la correzione con penna rossa delle tue parole. Badate bene, non di accenti, né dell’ortografia, sacrosante correzioni, bensì il cliente che poi i testi se li vuole scrivere da solo.

La vita del copy è dura. Le parole fanno fatica a farsi belle in questo luccicare di immagini e scorrere di video. Le parole sono un’arte molto meno impattante, ma non meno certosina. Più oscura e meno facilmente intellegibile.

Vediamo cosa può accadere nel concreto.

Il Professore

Una cosa che accade spessissimo: il cliente corregge il tuo copy con parole più forbite.

Come se tu fossi un buzzurro che non conosce la d eufonica o non conosce l’utilizzo del “loro” come complemento di termine. Come se la cosa più furba per vendere il ricambio di un rubinetto sia usare un distico elegiaco.

Vi sveliamo un segreto: l’utilizzo a proprio favore del contesto e dello scopo, quindi del registro adatto. Forbito non è sempre bello e non è sempre utile!

Il Poeta/filosofo

Simile al professore, non pretende per forza l’utilizzo di parole desuete o arcaiche, ma è particolarmente affezionato all’utilizzo di metafore e giri di parole. Come se per vendere una bicicletta noi parlassimo delle “due ruote che ti spalancheranno le porte dell’indipendenza, facendoti volare sulle ali della libertà”.

Un altro piccolo segreto per voi: esagerare non è più di moda. A vincere è la chiarezza, non solo in funzione della nostra ormai cara amica SEO, ma anche per non risultare ridicoli e anacronistici, esagerati come la televisione anni ‘60, quando l’eccesso era ancora una novità gradevole e non nauseante.

Il Menefreghista

Come vi dicevo, i feedback per fare un lavoro di copywriting ben fatto sono fondamentali. Si dà per scontato (dovrebbe darsi per scontato) che chi scrive per professione sappia utilizzare al meglio le parole, ma non è detto che abbia capito a pieno quello che il cliente desidera. In quel caso brief iniziale e feedback sono strumenti utilissimi. Il Menefreghista si fida e questo ci fa piacere, ma si fida così tanto da dare un brief tipo: “fai tu”, oppure “inventa qualcosa”. Il copy le parole le sceglie, le seleziona, le lima, le dispone, ma non inventa nulla. Il menefreghista insiste e anche quando tu hai a fatica inventato servizi, storia e prospettive del cliente, lui non ti farà mai sapere se il tuo copy andava bene o meno. Senza degnarlo di lettura lo fa inserire nel suo sito web nuovo di pacca, senza aver dato la minima attenzione o dignità a quelle parole che rappresentano la sua attività.

Infine, non facciamo di tutta l’erba un fascio, esiste anche il cliente perfetto. Quello che sa benissimo che il copy può aiutarlo, ma che anche lui deve metterci del suo. Si mette alla scrivania con te, ti racconta, ti emoziona e poi ti spiega, scendendo nel tecnico anche solo per farti capire di cosa stai scrivendo. Poi tu fai la prima stesura, aspetti un feedback che arriva, di una persona che ha letto e capito quello che hai buttato giù per lui, ma vorrebbe alcune modifiche e preferisce che sia tu a metter mano al testo. Ti offre qualche dettaglio in più che gli era passato di mente e come una spugna apprendi e poi riscrivi cercando di dare ulteriore qualità a quelle righe. Alla fine il testo c’è. Pronto. Alcune modifiche magari non le hai potute fare perché per esperienza sai che certe frasi vanno ripetute, che alcuni termini come incidente o incendio vanno evitate su un sito che vende automobili, anche se usate metaforicamente o usate positivamente. Infine consegni il tuo copy per te impeccabile e il cliente ti ringrazia per averlo seguito in questo percorso in cui avete entrambi imparato qualcosa.

Qui abbiamo voluto semplificare un po’ per riderne, un po’ per diletto personale, ma ogni cliente è differente e ci richiede un lavoro e uno sforzo differente. Da ognuno, anche dal “peggiore” o più rognoso, possiamo imparare tanto ed è quello che proviamo a fare, cercando di accontentarli tutti offrendo il miglior servizio possibile. Cercando di avere sempre una parola buona per tutti.

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Social

Lo State of Social del 2018 premia engagement e targettizzazione

Secondo lo State of Social 2018, report che analizza l’approccio del marketing ai social, le cose vanno bene, ma non benissimo.

La cosa più complicata quando si parla di marketing e social è capire se ha senso. Se ha un riscontro effettivo tutto questo condividere e piacere.

Il dato interessante numericamente parlando è la grande impennata dell’uso della messaggistica a fini di marketing. Il marketing via Messenger, Whatsapp e via dicendo, sta diventando una realtà che quotidianamente osserviamo sui nostri smartphone. In realtà sono però solo il 20% delle aziende intervistate quelle che hanno investito nella messaggistica istantanea per pubblicizzarsi. Vi immaginate se lo facessero tutte quante, i nostri telefoni probabilmente impazzirebbero e non di gioia. E il rischio è quello di scocciare e indisporre anche un cliente ben disposto.

Ancora e sempre più forti i social nel loro uso più “tradizionale”. Non solo, ma più del 30% degli intervistati ha dichiarato che le proprie strategie di marketing sui social sono “molto efficaci”. Addirittura? E come fate a dirlo verrebbe da chiedere. Fortunatamente la domanda successiva del sondaggio era incentrata proprio su questo dilemma. Come si misura il ROI degli investimenti social? La risposta di massa, che ha fornito quasi la metà degli intervistati, è stata con l’engagement!

Ma chi mi segue, mi compra? Eterna domanda senza risposta. Io dico: non necessariamente! Ve lo dico da superfan di Taffo Funeral Service, ma onestamente non so chi avrà l’onore di pagarmi la tomba, non ho comunque nessuna intenzione di portarmi avanti! O per fare un esempio meno macabro, anche j.Gasco ha un’ottima strategia social acchiappalike, ma io la loro tonica non l’ho mai comprata. Questi sono esempi banali, ma credo che il punto sia. Non è l’engagement, non è il numero di persone che raggiungi, ma conta molto di più la targettizzazione fatta bene prima della campagna social. Finché sbagli mira, puoi avere anche 1000 colpi in canna, ma non porterai a casa mai nulla. My two cents.

Per il resto nulla di nuovo bolle in pentola. i video vanno alla grande e sono quello su cui si scommetterà ancora in futuro, cercando di sconfiggere l’algoritmo sempre più penalizzante di Facebook. Ormai Zuckerberg tiene molto poco in considerazione i brand (sponsorizzate a parte), l’unica opzione che garantisce una buona visibilità (organica) a prescindere dalla quantità del contenuto sembra essere la diretta video. Ma .. per quale azienda è fruibile una possibilità del genere per la propria strategia di marketing? Quante aziende possono cimentarsi in dirette Facebook dalla dubbia utilità che rischiano di cadere nel ridicolo? Pochissime, principalmente chi si occupa di eventi e vuole documentarne il risultato.

Insomma tutte queste considerazioni per dirvi: il marketing cambia, cresce, decresce, si evolve, sfrutta mezzi diversi, forse più ambigui oggi, forse meno tangibili; d’altronde quando mai abbiamo potuto misurare al centimetro la riuscita di una classica campagna pubblicitaria cartellonistica, per esempio? Insomma il marketing, pur evolvendosi nelle forme e nel colore rimane efficace se sappiamo dove puntare. Non quanti, ma quali! E in questo la tecnologia può darci più di una mano, Non sarebbe meglio avere meno follower, ma reattivi, attenti, coinvolti? Loro possono essere i nostri stessi ambasciatori, loro possono incidere sul nostro business, non le folle di seguaci acquistati sparando nel mucchio.

Forse il marketing non è quella scienza che ti garantisce in automatico degli 0 sul conto corrente, ma ti garantisce, quello sì, una crescita di audience su cui tu stesso avrai il compito di essere incisivo trasformando i prospect in clienti veri e propri. Come dire, il marketing sa farti l’assist giusto, se non la metti dentro la colpa è tua.