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Tempi duri per Facebook? Ma non diciamo stupidaggini…

Oggi è facile sparare su Facebook!

Qualche settimana fa mi auguravo che Zuckerberg intervenisse sulla sua piattaforma prima che il Governo Federale lo facesse a tutela della famosa “sicurezza nazionale”. L’analisi di Wired US era implacabile nell’evidenziare come Facebook, se usato al meglio delle potenzialità (community aggregator & news feeder), oggi sia lo strumento perfetto per piegare la realtà e mettere a repentaglio alcune basi della democrazia moderna come noi la conosciamo.

Beh, non abbiamo dovuto attendere molto per vedere una vera e propria gogna mediatica catapultarsi su Facebook in tutto il mondo.

Oggi, leggendo i vari newsfeed, ho letto l’intervento sull’AGI di Arcangelo Rociola in cui il giornalista cavalca l’onda mediatica sfruttando anche il tweet irriverente di Mr Whatsapp, Brian Acton, che dall’alto dei suoi 10 miliardi di dollari ricevuti da Facebook, oggi si può divertire a proclamare a tutto il mondo “It is time. #deletefacebook”.

Chissà se il nostro amico Brian avrebbe lanciato questo tweet nelle fasi calde della trattativa che lo hanno reso miliardario o forse sarebbe stato più cauto nel chiedere la cancellazione di Facebook, almeno fino all’arrivo dell’ultimo bonifico sul suo conto corrente?

Quello che veramente mi sorprende oggi, e che mi sorprende fino a un certo punto, è la capacità di tutti di soffiare l’onda mediatica. Fino a ieri tutti schiavi di Facebook, se non eri su Facebook eri uno “strano”, e oggi tutti a chiedersi “cosa si potrebbe fare senza la dipendenza da Facebook”. Techcrunch ci racconta addirittura che “Facebook ci sta usando. Sta di proposito prendendo le nostre informazioni. Sta creando delle echo chamber nel nome della connessione. Fa emergere le divisioni e distrugge le vere ragioni che ci hanno portati all’uso dei social media: (distrugge) le relazioni umane. È un cancro”. Ma davvero? Non ve ne eravate accorti prima?

Tutti oggi urlano indignati che non è giusto che Facebook abbia venduto i dati a Cambridge Analytica. Oggi tutti vorrebbero la punizione esemplare per “Marco Montedizucchero” che è stato cattivo e ha fatto i soldi rubando le informazioni che le persone ingenuamente avevano inserito nella scatola di Facebook.

Ma l’avete letta la pagina di log in di Facebook? Se fosse sfuggito a qualcuno, c’è scritto “Iscriviti. È gratis e lo sarà sempre”. Gratis. Qualcuno ha veramente pensato che tutto quel giochino fosse sul serio gratis? Che la possibilità di archiviare tutta la propria vita, video, foto, pensieri, commenti, emozioni, amore, odio, parole… fosse tutto gratis?

L’altro giorno mia figlia, guardando una serie tv in streaming, a un certo punto mi ha stupito: non capiva perché continuassero a comparire popup a infastidirla mentre guardava gratuitamente un programma televisivo su internet (fruibile a pagamento alla televisione?). Ma davvero tutti abbiamo pensato che il “gratis per sempre” volesse semplicemente dire che non ci fossero interessi economici dietro? Che Facebook fosse un’enorme realtà filantropica interessata al bene del mondo e che volesse regalare nuove opportunità a persone che si erano perse nel tempo? Pensavamo veramente che Instagram fosse un enorme album fotografico dove l’utente nutre il proprio ego inserendo immagini il cui interesse è spesso limitato a pochissime persone?

Mi spiace andare sempre controcorrente ma penso che tutto questo odio mostrato oggi dalla gente nei confronti di Facebook sia assolutamente insensato e illogico. Conosciamo tutti aziende che hanno chiuso la propria presenza digitale per spostarsi sui social, conosciamo tutti persone che parlano agli amici a tavola tramite Whatsapp e post su Facebook, conosciamo tutti persone che non sanno trovare neanche la strada di casa e utilizzano Maps per non perdersi mai… ah no, scusate, Maps non è di Facebook ma è sempre gratis.

Ma veramente qualcuno pensa che possa esistere una struttura come Facebook completamente gratuita?

Al contrario di come la pensa Rociola e l’AGI, “…il monopolio della vita digitale di 2,3 miliardi di utenti nel mondo comincia a preoccupare… se il costo di un servizio è gratuito, il costo di quel servizio sono i tuoi dati. La tua privacy. Le tue opinioni. E il tuo voto, come nel caso delle campagne elettorali di Cambridge Analytica”, io credo che quello di cui dovremmo preoccuparci sia un’altra cosa: se Facebook chiudesse domani e dopodomani chiudesse Google, tutti torneremmo in una preistoria di comunicazione imbarazzante.

Senza Facebook le aziende non saprebbero come parlare con i propri clienti, senza Facebook le persone non saprebbero cosa succede attorno a loro, senza Facebook le persone non riuscirebbero a sapere quello che succede nel mondo, senza Facebook i giornali non saprebbero come rintracciare lettori. Se domani Mark Zuckerberg decidesse che ha fallito la sua missione e spegnesse i suoi server, saremmo tutti più liberi ma anche più poveri.

Senza Facebook dove andremmo a mettere le foto, i video, i  ricordi, i pensieri, le opinioni e le notizie? Come immaginate il vostro domani senza Instagram, Facebook e Whatsapp?

Brian Acton, con i suoi 10 miliardi dollari, può tranquillamente decidere di #cancellarefacebook. Tutti noi, invece?

P.S. ah, un’ultima cosa. Non è che Facebook mi stia simpatico o altro. Abbiamo provato a fare una campagna sul precedente articolo e Facebook ha respinto la campagna come “inappropriata”. Non sono simpatici, non sanno fare autocritica, ma per favore cerchiamo di ragionare!

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Social Web

Google sorpassa Facebook, con il tifo della stampa

Qualche giorno fa, in uno dei tanti gruppi di discussione mi sono trovato di fronte a un commento in merito alla “stampa”, da parte di un imprenditore abbastanza importante, che mi ha lasciato sorpreso: “Quello lì è un giornalista: trattatelo bene perché ha in mano l’informazione e l’informazione, si sa, è potere”.

Nelle scorse settimane abbiamo anche parlato di come Facebook stia passando un periodo complesso, tra l’accusa di essere il principale diffusore di fake news nel mondo e alcune nuove ricostruzioni sui motivi del cambio di algoritmo effettuato da Zuckerberg negli ultimi mesi. Inutile dire che le ricostruzioni provengono dal mondo della stampa ed è ormai abbastanza risaputo che tra Facebook e la stampa non corra assolutamente buon sangue.

La stampa, infatti, accusa da mesi la piattaforma social più conosciuta al mondo di essere propagatore di una “verità” differente da quella che da sempre i media classici hanno raccontato al proprio pubblico. L’avvento del social, e quindi l’aver dato a tutti gli utenti il potere di dire la loro con lo stesso grado di “voice”, ha probabilmente creato la bolla di speculazione comunicativa che ci ha raccontato Wired nel suo articolo.

Tutto vero? Probabilmente sì, ma d’altra parte – come abbiamo già detto – Facebook, se usato al massimo delle sue potenzialità di community aggregator & news feeder, ha le carte in regola per diventare un vero e proprio crack in grado di creare e distribuire uno stream di comunicazione differente da quello “ufficiale”.

Ma la terza legge della dinamica ci insegna che a ogni azione corrisponde una reazione uguale e contraria. La decisione che il nuovo goal è “time we all spend on Facebook is time well spent” non è passata del tutto inosservata, e pare non solo nei confronti del mondo dell’informazione.

A quanto pare, anche per Facebook “piove sul bagnato” e dalle ultime statistiche sembra che negli ultimi mesi ci sia stato un sorpasso che ha dell’incredibile.

Google ha infatti rimpiazzato Facebook come top referrer per i publisher.

L’infografica apparsa qualche giorno fa su Statista.com ci mostra come a partire dal 3° trimestre 2017 Google abbia sopravanzato Facebook sia a livello di desktop (e questo lo sapevamo già tutti) sia a livello di mobile, come fonte principale per portare traffico all’interno delle piattaforme di informazione mondiale!

Incredibile.

Facebook Mobile sta velocemente precipitando verso una paradossale disfatta (-32%) nei confronti di Google proprio in una delle aree su cui Zuckerberg aveva maggiormente puntato come driver di affermazione di FB come piattaforma di comunicazione globale: l’informazione.

Sicuramente Facebook non si è fatto molti amici nel mondo dell’informazione globale negli ultimi anni ma pochi potevano prospettare una disfatta di tali dimensioni anche soltanto sei mesi fa (periodo in cui secondo l’infografica di Statista, il sorpasso era già avvenuto). Una disfatta la cui provenienza non deriva dal mondo dell’informazione ma è sancita dagli utenti stessi.

Le statistiche sono come i bikini. Ciò che rivelano è suggestivo, ma ciò che nascondono è più importante, diceva Irving R. Levine, ma in questo caso i numeri ci dicono che dopo essere stata messo al bando dal mondo dell’informazione, anche gli utenti hanno deciso che Facebook non sia più la fonte maggiormente rilevante per trovare nuove notizie all’interno del panorama digitale. Google invece oggi ha oltre il doppio dei click da parte degli utenti verso le principali piattaforme di informazione globale. A quanto pare il “time well spent” non prevede da parte degli utenti la fruizione di contenuti informativi!

Un tradimento da parte dei publisher ci stava ma quello da parte degli utenti, credo che Zuckerberg proprio non se l’aspettasse.

I tecnici oggi parlano delle importanti migliorie che gli Accelerated Mobile Pages di Google possono avere avuto in questa bruciante sconfitta da parte di Facebook ma sinceramente credo che tutti leggendo queste parole possano solamente sentire il rumore di unghie sul vetro!

Facebook ha perso il suo forward momentum non solo nei confronti del mondo dei diversi establishment, ma anche e soprattutto nei confronti dei suoi utenti. Quei miliardi di utenti che ne hanno deciso fino ad oggi la crescita e la sua incredibile fortuna, iniziano a guardarsi attorno alla ricerca di nuove fonti di “ispirazione” e “informazione”.

Come già successo per Apple, anche Facebook è stata risucchiata dal gruppo degli inseguitori? L’azienda che doveva cambiare il mondo del web, è stata cambiata dal web?

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Contenuti Web

Il sito brochure e il sito vetrina

Cinque domande da farsi per non sprecare soldi nel sito

In questi mesi abbiamo studiato numerosi siti internet di aziende piccole, medie e anche grandi che operano in tutte le tipologie di settori. Abbiamo guardato aziende di servizi, aziende di prodotto, aziende di settori alla moda e aziende che producevano beni assolutamente poco affascinanti e “notiziabili”.

Tutte le aziende che abbiamo analizzato hanno tutte una cosa simile: business assolutamente consolidati e fatturati molto elevati (le abbiamo selezionate anche guardando questi aspetti negli ultimi anni).

C’è qualcosa di sorprendente che accomuna la maggior parte di queste aziende: hanno una presenza digitale poco valida. Drammaticamente scarsa in molti casi.

Non sto dicendo che i loro siano dei siti brutti o poco funzionali. Sì, molti siti spesso non sono in linea con gli standard di Google. Una percentuale elevata è costituita da siti oggettivamente poco fruibili e spesso questi hanno delle grafiche veramente antiquate e poco piacevoli.

Quello che però ci ha veramente stupiti è un aspetto meno tecnico e meno estetico, ma abbastanza incredibile:

i siti che abbiamo studiato non servono allo sviluppo del business

Al di là della grafica, del sistema di gestione dei contenuti, della realizzazione dei contenuti stessi, delle immagini e dei testi da utilizzare ogni volta che si crea un sito per un’azienda o per un professionista bisognerebbe rispondere a questi fondamentali cinque set di domande:

1) Il tuo sito crea specifici risultati di business? I risultati sono misurabili? Hai un sistema per collegare lo sviluppo del business al tuo sito?

2) Il tuo sito è realizzato come se fosse il più avanzato ed efficiente strumento di vendita dei tuoi servizi e dei tuoi prodotti? Da ogni parte del tuo sito è chiaro e facile raggiungere la sezione di sviluppo del tuo business?

3) Il tuo sito riesce a creare un flusso consistente di nuove conversioni per il tuo business (lead, registrazioni, vendite)? Il tuo commerciale è in grado di interagire con il tuo sito per poter interagire a sua volta con il tuo business?

4) I contenuti e le risorse che pubblichi nel tuo sito sono utili e significativi per il tuo target e il tuo potenziale acquirente?

5) Hai realizzato un piano di marketing digitale finalizzato alla realizzazione di un processo di vendita adeguato all’incremento del tuo business?

Spesso quando si fa un sito si pensa a realizzare una brochure online senza però ricordarsi che la brochure viene spiegata e consegnata da un commerciale.

Se una brochure di 16 pagine viene presentata in una visita di 30 minuti o una presentazione aziendale viene seguita o anticipata da una telefonata di vendita di decine di minuti, perché le aziende decidono di non investire nel commerciale nel mondo del web?

Essere digitali non significa essere in grado di sopperire alle competenze di altri. Il vostro cliente non può prendersi la responsabilità di fare il commerciale a se stesso.

Il ruolo fondamentale di spiegazione dei perché comprare, di cosa comprare, di come comprare, di quando e dove comprare non possono essere demandati al cliente stesso.

Se si realizza un sito-brochure si deve realizzare anche un sito-venditore.
Se si crea un sito-vetrina ci si deve dotare anche di un sito-commessa.

Un sito che spieghi nei dettagli cosa l’azienda vende, racconti nel dettaglio i vantaggi dei prodotti/servizi offerti, informi sulle modalità di vendita ma soprattutto provi a convincere il cliente che il prodotto/servizio offerto è in grado di risolvere il suo problema.

Una brochure senza venditori, un negozio senza commessi, un sito senza area commerciale … ecco cos’è un sito non funzionale: un’occasione mancata di realizzare nuovo business per l’azienda.

 

Credits photo: Pexles, Flickr

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Social Strategia

Sponsorizzate? Pagare i click non ha mai funzionato

Dovrebbe essere ormai chiaro a tutti che piazzare un budget, anche alto, sulle sponsorizzate non basta più, forse non è mai bastato e comunque non dà i frutti sperati.

Perché?

Perché il social network, lo abbiamo detto in precedenza, è il luogo della condivisione in senso romantico. Il luogo per eccellenza del marketing emozionale, e di emozionale la sponsorizzata non ha proprio nulla. Soprattutto perché si vede.

Partiamo da una diffidenza di base dell’utente di fronte agli Adwords & co. Talvolta addirittura per principio, l’utente scansa il contenuto pubblicizzato in favore di quello organico, recepito come genuino.

Come se ci fosse del marcio nel pagare la visibilità, almeno in un mondo in cui possono averla tutti, puntando sulla qualità dei contenuti. Certo, nessuno dice che sia semplice. Messa così sembra addirittura meglio, pagare non serve… quindi la visibilità è gratis? Magari!

Innanzitutto è anche sbagliato sostenere che sponsorizzare le proprie pagine aziendali sia del tutto inutile. Va fatto nel modo e nei tempi giusti.

Inutile puntare solo sulle sponsorizzate per un business nascente e quindi sconosciuto.

Una visualizzazione di per sé non ha un grosso valore. O meglio: nel caso di un brand sconosciuto, ha un costo maggiore del beneficio che porta. Probabilmente non porterà ad alcuna interazione e sarà quindi infruttuoso poiché non aumenterà la credibilità recepita dell’azienda. Come giudicate quei desolanti post con 0 commenti e 0 reazioni che sono solo una becera esecuzione di un calendario editoriale sistematico e mal gestito? Tutti li giudichiamo per quello che sono: tristi.

Quindi dove è meglio spendere i soldi prima che per le sponsorizzate?

Bisogna partire da metodi, per così dire, tradizionali. Creare una base solida di reputation sul campo: investire sul content e avere clienti così soddisfatti da farci da ambassador.

Non ve la siete scampata dunque, i soldi vanno investiti e non le poche centinaia di euro delle sponsorizzate, ma ben di più. Soldi e tempo, perché i risultati non piovono dal cielo così come i click.

La SEO content creation costa cara, se fatta bene. Bisogna affidarsi a persone competenti e affezionate al progetto. Se fatta in modo approssimativo e mediocre, tanto vale non farla, perché ritorneremmo al desolante quadro 0 condivisioni 0 reazioni.

Il passaparola, croce e delizia di ogni azienda, nemmeno quello è gratuito. Bisogna prendersi particolare cura dei primi clienti (senza trattar male quelli a venire, per carità), ma consapevoli del fatto che quel di più che si “regala” ai primi lavori (in termini di follow-up e customer-care) sia anche un investimento pubblicitario, e non un’inutile spesa.

Solo creati i presupposti vale la pena mettere in budget la voce per sponsorizzate & Adwords, e ancora la strada sarà lunga per convertire i click ottenuti.
Dapprima sarà il caso di mettere nel target gli attuali clienti e simpatizzanti. Inutile? Direi di no, solo così i simpatici algoritmi che regolano la rete capiranno che siete affidabili, stimati e condivisi, abbassando il costo delle visualizzazioni che vorrete ottenere. Solo allora avrà senso allargare il target, poco alla volta e in maniera molto accurata, per evitare di fare passi indietro.

Non ci si improvvisa social media manager, eppure nessuno saprà davvero insegnarvelo. Perché i social media cambiano ogni giorno e hanno una storia troppo breve per essere chiamata tale. Ascoltate i consigli che vi sembrano più sensati e sperimentate, passateci le ore sulle piattaforme che volete sfruttare. Come pensate di poter giocare a calcio leggendo un manuale e senza aver mai toccato un pallone? Iniziate a palleggiare al parchetto e poi fate il vostro esordio sul campo vero. Giocando e sbagliando, si impara.

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Social Tendenze

Una “social promozione” incredibile

Ormai luglio sta finendo e sui social network si sprecano i consigli su cosa scrivere ad agosto, cosa leggere durante le ferie, cosa fare durante le agognate vacanze. Mi stavo preparando a scrivere l’ennesimo post di questo tipo quando ieri mi sono imbattuto nella social promozione perfetta.
Per anni ho seguito corsi su corsi in merito alla SEO, alla lead generation sui social, agli algoritmi più folli e astrusi che i motori di ricerca prima e i social poi creano e modificano periodicamente per rendere sempre più complicata la vita ai marketer che provano a sfruttare al meglio il mondo social: il posto dove la gente c’è!

Ma ieri pomeriggio mi sono scontrato contro la vera e propria “campagna” social fai da te dal successo assolutamente assicurato!

Domenica, giornata afosa e noiosa. Decidiamo di andare a pranzo in un locale vicino a casa nostra dove si cucina di tutto. Cinese, Giapponese, Italiano, Brasiliano, Mongolo, Griglieria on demand, gelati, dolci… Locale pieno zeppo (nonostante la periferia milanese sia deserta), con tutte le tipologie di clientela possibili e immaginabili. Giovani, anziani, italiani, stranieri, bambini, ragazzi. Tutti ovviamente in lotta per la sagra dell’abbuffata in questo all you can eat di medio livello (va beh, non si può pretendere pure la super qualità) ma oggettivamente piacevole, nonostante il frastuono imperante.
Prezzo per tutto questo incredibile marasma culinario? Euro 14,80 bevande escluse. Beh dai ci può stare in quel di Milano un prezzo del genere. Ricerca spasmodica per un posto macchina (in quel di Bresso dove oggettivamente a volte è difficile trovare una persona camminare per ore!), ricerca ancora più spasmodica per un tavolo e via, si possono aprire le danze.
Tralasciando la parte commestibile, non sono un fan del cibo quindi non sarei credibile, arrivo dritto dritto alla fine del pranzo.
Ci mettiamo in coda alla cassa e vediamo tutti con il telefono in mano che fanno concorrenza a Pokemon Go sbattendo freneticamente i tasti sugli smartphone per poi mostrarlo alla gentilissima signorina in cassa (guarda caso cinese!).

“Scusi signora, posso chiederle cosa sta facendo?”.
“Ti fanno lo sconto del 10% se condividi la loro immagine promo su Facebook!”.

Scusa? Sì, si abbiamo capito bene. I signori applicano lo sconto – sullo scontrino arriverà la dicitura “Sconto Condivisione Social” – del 10% sul prezzo del menù fisso a chiunque mostri il telefonino con il loro post condiviso sulla propria bacheca.

Alla modica cifra di 1,48 euro a persona quel ristornate ha raggiunto tutti i follower di tutte le persone che ieri hanno mangiato lì. Meno di un euro e mezzo e tutti i miei amici hanno ricevuto la notifica che io ho mangiato in quel locale.

Facciamo un po’ di calcoli.
Ieri a pranzo a parer mio sono passate almeno 400/500 persone per quel ristorante.
Il costo dello sconto potrebbe essere quindi tra i 600 e i 750 euro (ovviamente non tutti hanno usufruito dello sconto visto che non tutti hanno Facebook!).
Facciamo conto che ogni utente abbia tra le 150 e le 300 connessioni. Non stiamo parlando di amici, ma di connessioni, potremmo parlare del famoso numero di Dunbar relativo alla struttura delle relazioni sociali, ma adesso stiamo parlando di reach vera e propria. Persone fisiche che sono in contatto con te sul tuo social preferito e che vedono come notifica le azioni che tu realizzi su quel social.

Quindi Excel alla mano: investimento tra i 600 e i 750 euro di sconto. Reach potenziale tra le 60mila e le 150mila persone.

Prendiamo Facebook Ads e proviamo a fare una simulazione con le stesse cifre creando una campagna per quella stessa pagina, andando a inserire qualche parametro relativo alla ricerca. Con un investimento tra i 600 e i 750 euro la copertura giornaliera stimata da Facebook è tra le 60mila e le 190mila persone.

Cifre relativamente simili. Dove sta la differenza? In questo caso stiamo parlando di Pubblicità. Stiamo parlando di un’azienda che promuove il proprio prodotto. Un’azienda che paga una cifra per parlare di sé. Inserisce i suoi contenuti all’interno di tutti i contenuti per promuovere il proprio prodotto.

Nel caso reale invece di cosa parlavamo? Di 400/500 persone che parlano in prima persona della loro esperienza presso quel ristorante e fondamentalmente invitano tutti i propri amici (con una notifica!) a provare anche loro quell’esperienza.

Voi pensate che il 10% di sconto sia un numero casuale? Secondo me assolutamente no. I proprietari hanno fatto i loro bei calcoletti su Facebook e hanno visto quale fosse il costo per raggiungere quel tipo di pubblico e definito il loro “mancato guadagno” come costo promozionale diretto del proprio ristorante.

Da campagna pubblicitaria su Facebook a Facebook come vettore pubblicitario indiretto: è proprio vero che i social, al di là di tutti gli algoritmi, sono ciò che gli utenti decidono di renderli.

Questi signori hanno reso Facebook la loro meravigliosa indiretta cassa di risonanza, senza dare un euro diretto a Facebook e rendendo felici i clienti che hanno pranzato da loro.

Siamo sicuri che lo sconto del 10% sia stato solo casuale o hanno calcolato il costo di Facebook Ads e lo hanno convertito in sconto alla clientela?

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Strategia

Samsung VS Apple: who’s cooler?

Samsung ha chiamato in causa Apple nel suo ultimo spot. Citare i competitors sfruttando l’ironia non è una novità negli USA. Sono anni che i creativi di Pepsi tirano fuori dal cilindro pubblicità irriverenti o spiritose per avvalorare la tesi che Pepsi sia meglio del gigante Coca-cola. Basta ricordare l’emblematica scena di un bambino che di fronte al distributore automatico acquista ben due lattine di Coca-cola… ma solo per usarle come rialzo per arrivare a selezionare la tanto ambita Pepsi (il video)!

Samsung cita Apple in maniera decisamente più raffinata, però. Lo spot descrive l’evoluzione della telefonia nel tempo, evidenziando le carenze tecniche prestazionali di Apple. Dal 2007, l’anno del primo iPhone, fino a oggi. Il video mostra un ragazzo che di anno in anno rimane deluso dal suo telefono Apple, mentre la sua fidanzata vive un’esistenza felice accompagnata dal suo Samsung. Alla fine il protagonista cede e abbandona la Mela in favore di Samsung. Eloquente la scena finale in cui il protagonista incrocia lo sguardo di un ragazzo in coda per comprare il nuovo iPhone X, come a sottolineare che spesso scegliere Apple è una moda più che una scelta ragionata. Non per niente lo spot si intitola “Growning up”, crescere, come a dire che il melafonino sia roba da ragazzini…

Questo in USA, dove il mondo pubblicitario è più coraggioso e audace e funziona sui brand che hanno una personalità forte e riconoscibile. In Italia non si è soliti osare tanto, anche perché i marchi non hanno una così alta riconoscibilità.

Nel nostro Paese si osa meno, il massimo in termini di advertising sono le pubblicità comparative in telefonia, confrontando le tariffe delle diverse compagnie telefoniche oppure i valori delle acque minerali. Battaglie combattute a suon di particelle di sodio insomma!

Su internet, invece, le visualizzazione delle gajarde pubblicità made in USA spopolano anche nel nostro Paese. Segno che un po’ di coraggio e creatività in più non guasterebbe, come dimostra il grande seguito ottenuto dai marchi più coraggiosi in fatto di advertising e posizionamento social… vedi Ceres e Taffo!

E voi che cosa ne pensate?

Possiamo permetterci di osare in pubblicità qui in Italia o meglio il buon vecchio spot autocelebrativo?

Noi una preferenza ce l’abbiamo, ma non ve la diremo, ancora!