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Condé Nast contro la crisi schiera gli influencer sotto la guida esperta dell’inventore di Ferragni

La carta stampata è in fin di vita?

Che l’editoria non si occupi solo più di carta stampata, seppur patinata, lo avevamo capito da almeno una decina di anni. Contenuti digitali e transmediali la fanno da padrona. Oggi, però, non basta ancora. Il mondo editoriale è una giungla in cui sono in pochi ad avere le risorse necessarie per sopravvivere. Non è questo il caso di Condé Nast che con la sua storia secolare (fondata nel 1909) e le sue pubblicazioni internazionali di successo (Vanity Fair, Vogue, The New Yorker) non rischia di chiudere i battenti, ma ha risentito come tutti del crollo degli introiti pubblicitari della carta stampata.

La sfida è quindi quella di rinnovarsi, continuamente. Condé Nast Italia, per farlo, si è inventata la Condé Nast Social Talent Agency: la prima agenzia di influencer ad essere gestita da un gruppo editoriale, e che gruppo. A gestire il tutto sarà un vero social-guru, anche se il suo nome potrebbe non dirvi molto, si tratta di Riccardo Pozzoli, colui che ha creato l’impero Ferragni prima dell’era “Ferragnez” e che con Chiara, oltre che il business, divideva anche la vita privata. Con i suoi 27 influencer italiani e internazionali è il più grande incubatore di social talent in Italia.  Chi sono i prescelti? In parte sono i diplomati dalla Condé Nast Social Academy: una scuola nata per formare veri e propri professionisti dell’influencing marketing (e qui torniamo al discorso che fare solo i giornali non basta più). Altri sono stati scelti per coprire diversi settori, dal food al travel, ma con un criterio comune di base: la qualità. Più dei numeri nella scelta, ha pesato lo storytelling e le cose che i prescelti hanno avuto e avranno da dire, tanto che la parola d’ordine è #ShareRealTalent: atleti, attori, registi, fotografi saranno gli ambassador rappresentati dall’agenzia.

Il direttore ha spiegato una cosa per noi evidente, ma che molti faticano a capire: la focalizzazione, oggi che il mondo social è maturo, non sono i numeri, ma l’engagement!
I contenuti originali, vincono sui bombardamenti sponsorizzati. Non sono stati scelti professionisti del nulla, ma persone che avessero qualcosa da dire di interessante e relativo alla loro nicchia lavorativa e al loro mondo di passioni. Non dei tuttologi.

Pozzoli stesso ha dichiarato: “Il contenuto è al centro dei nostri pensieri, perché rappresenta la risposta a un bisogno condiviso da utenti e investitori. I nostri talent sono creatori di contenuto capaci di restituire più che la semplice immagine”.

Stiamo a vedere cosa combineranno i nuovi professionisti dell’influencing marketing di alta gamma. SIamo sicuri che ci sarà da imparare e da ripostare!

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Web

Tim Cook: “Sulla privacy prima l’etica, poi la legge”

L’amministratore delegato di Apple ha pronunciato delle parole importanti in occasione dell’International Conference of Data Protection and Privacy Commissioners 2018 in corso a Bruxelles. Tim Cook ci ha tenuto a sottolineare l’importanza della privacy da un punto di vista etico ancor prima che legale, sottolineando quanto Apple abbia sempre salvaguardato i dati personali dei propri utenti.

La strada da percorrere, a detta di Cook è quella di una legge americana ispirata alla nostra GDPR.

“Non è vero che regolare il mercato significa limitare lo sviluppo. Al contrario: lo sviluppo della tecnologia dipende dalla fiducia che le persone possono coltivare in quella tecnologia”.

 

Parole sagge, ma gli USA ci stanno?

 

 

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VisCom 2018 e la lezione sulla prossemica del marketing

La prossemica è la distanza che si interpone tra sé e gli altri, tra sé e gli oggetti. Un modo silenzioso di comunicare, se vogliamo, il modo di porsi nello spazio e di organizzarlo che dice molto di noi, anche inconsciamente.

Quando parliamo del nostro brand, di quello che facciamo, quando vendiamo qualcosa, non possiamo fare a meno di occuparci dello spazio, di tener conto dei messaggi che mandiamo in base a come siamo vestiti, a dove ci sistemiamo, ai nostri gesti.

Partendo da questo presupposto, gli allestimenti sono fondamentali nel mondo della comunicazione. La scorsa settimana siamo stati a VisCom, la più grande fiera italiana del tutto dedicata alla comunicazione visiva e alle sue novità.

In ottica “prossemica” della comunicazione, ci ha colpito un’azienda che presentava dei ledwall trasparenti. Un concetto che ci ha affascinato e fatto riflettere. Abbiamo pensato banalmente alle vetrine dei negozi, solitamente barriere che dividono l’interno del negozio da quello che si decide di esporre. Come se il vetrinista decidesse ció che è giusto mostrare oscurando la reale atmosfera del negozio che dentro palpita, vive, con i suoi clienti e i suoi commessi. E se invece pensassimo a uno videowall trasparente che mostri i prodotti e li mostri mentre sullo sfondo va in scena l’ordinaria routine del punto vendita. Rivoluzionario. No?

Questo sistema di display si presta anche ad applicazioni più spettacolari, immaginate un grande evento: il lancio di un nuovo prodotto di punta o i 50 anni di una grande azienda. Mentre sul videowall scorrono le immagini dei successi aziendali si intravede una figura spuntare sullo sfondo ed è…Tiziano Ferro! o Andrea Bocelli! (sostituire il nome con chi vorreste cantasse per celebrare il vostro brand). Che spettacolo sarebbe, delineare il volto della star lentamente, mentre l’immagine reale, si fonde con quella digitale. Un modo diverso di concepire il palco dove lo show è già parte della realtà e la realtà diventa show live.

TUTTO QUESTO È PROSSEMICA DELLA COMUNICAZIONE FINALIZZATA AL MARKETING.

Imparate a muovervi nello spazio e a porvi nel modo giusto rispetto agli strumenti comunicativi che avete. Accorciate le distanze con i vostri potenziali clienti. Fateli entrare nello schermo con voi o concedete di dare una sbirciata attraverso, annullando le distanze tra il dietro le quinte e la vetrina aziendale.

Imparate a porvi nello spazio comunicativo, nel modo migliore, per risultare efficaci!

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Web

Fuori e dentro la Rete: il nostro pensiero sull’ultimo rapporto Censis

Un paio di giorni fa è uscito l’ultimo rapporto Censis sulla comunicazione. Non ci sono grosse novità. Internet è, come sappiamo, molto diffuso, ma forse non quanto pensiamo. Se non fa grande scalpore l’idea che tra le persone più anziane internet sia a disposizione solo del 42,5 % del totale, ci risulta strano pensare che 1 su 10 dei giovani compresi tra i 15 e i 29 anni non abbia accesso alla rete. Per noi è oggi una cosa scontata. Così come ci laviamo i denti la mattina consultiamo i social o le app con le news del giorno. Siamo iperconnessi senza rendercene conto. Proviamo ora a immaginarci una vita senza internet.

Saremo liberi da fake news, da gossip, da ogni tipo di indiscrezione voluta e non voluta sulla vita delle persone che sono tra i nostri contatti…non male no?
Però, se fossimo dei ragazzi non ci sentiremmo penalizzati?

Oggi anche le scuole sono quasi del tutto digitalizzate: registri elettronici, materiale didattico digitale, tutto si è spostato dal cartaceo ai diversi device ovviamente, sfruttando la rete.
In quest’ottica la rete non è solo l’autostrada dell’intrattenimento, ma riscopre la sua natura di utilità e condivisione di conoscenza, così come è stata pensata d’altronde. La Rete nacque infatti nel 1989 al Cern di Ginevra per l’agevole scambio di informazioni tra scienziati che lavoravano al medesimo progetto. Questo dovrebbe essere il nobile esempio che guida gli utilizzatori della Rete di tutto il mondo. Uno strumento di arricchimento, dove certo può trovare spazio l’aspetto più ludico della comunicazione, lo svago e anche il gossip perché no.

Ma la Rete dà il meglio di sé quando viene usata per scopo professionale o di apprendimento e condivisione. D’altronde nel nostro mestiere di comunicatori, la usiamo constantemente e senza non potremmo svolgere il nostro mestiere. In poche parole non esisteremmo, per lo meno come Web Agency … La studiamo, la usiamo, proviamo ad arricchirla e a farci arricchire al tempo stesso. Insomma per noi la Rete è tutto. Dal processo di creazione interna, all’output finale e alla divulgazione dei nostri prodotti creativi.

Non vorrei certo essere tra quella piccola percentuale senza Internet, che tanto a chiudere il browser si fa sempre a tempo!

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Social Strategia

Alberto Angela è la dimostrazione che i social sono amici della qualità

Sabato sera. Prima serata. Gli spettatori televisivi non sono solitamente molti, la gente preferisce uscire, approfittando del fine settimana. Se si opta per stare a casa si è soliti sintonizzare l’apparecchio televisivo su un programma divertente, rilassante o uno spettacolo, insomma, si sceglie l’intrattenimento.

Ma Alberto Angela con il suo programma Ulisse è riuscito ad incollare allo schermo quasi 4 milioni di telespettatori in un mite sabato sera di ottobre: un risultato notevole! Se ci aggiungiamo che l’argomento di sabato 13 ottobre non erano dei teneri cuccioli di capriolo o le bellezze inarrivabili della nostra Italia, ma si parlava del rastrellamento del ghetto di Roma nel 1943 (non proprio un argomento da serata al pub con gli amici), il risultato è sicuramente impressionante! Quali sono le ragioni di questo successo?

Sicuramente Ulisse è un programma di qualità e Alberto Angela è un perfetto divulgatore, ma gli ascolti (record per questa tipologia di TV) si devono anche all’esplosione del fenomeno social che lo riguarda.

Da più di un anno infatti Angela Junior è al centro dell’attenzione dei social media. Pagine facebook e gruppi privati spuntano come funghi per celebrare le doti intellettuali (e non) del più popolare conduttore televisivo del momento.

Rimanere a casa il sabato sera per guardare Ulisse con Alberto Angela è un esempio di questo fenomeno, dove il personaggio viene paragonato addirittura al campione Cristiano Ronaldo:

La fanpage ufficiale del conduttore televisivo conta circa 870.000 like, più di quelli della pagina di un programma come il Festival di Sanremo.

Ma cosa fa il figlio del celebre Piero Angela per alimentare questo successo di pubblico? Nulla più che il suo lavoro, in modo eccelso, questo va detto. La sua fama social ha preso il volo un po’ per caso e lui non ha fatto altro che cavalcare l’onda nel modo giusto, senza strafare o concentrarsi solo sul web, anzi; ha continuato a ideare e condurre i suoi documentari con la solita minuziosità ed enfasi narrativa.

Social e televisione sono due canali indipendenti e il successo su uno non sempre equivale a un buon risultato sull’altro. Se Ulisse non fosse un programma fatto bene, resterebbero famosi solo i meme su Alberto Angela e non il programma stesso. I curiosi si annoierebbero dopo i primi due minuti di trasmissione se non ne valesse la pena e continuerebbero solo a commentare il suo aspetto fisico.

Allora, qual è la morale della favola Alberto Angela che quasi eguaglia i risultati portati a casa da Maria de Filippi con il ben più leggero Tu sì que vales? Che i social sono un ottimo strumento di marketing e di reputation, che vanno sfruttati anche se non fanno direttamente parte del nostro mestiere perché possono portare un ritorno positivo proprio al nostro lavoro, ma solo se continuiamo a farlo bene.  

 

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Social Web

Adam Mosseri dichiara guerra al cyberbullismo su Instagram

Il nuovo gran capo di Instagram vuole sconfiggere il cyberbullismo sfruttando il machine learning.

In questi giorni si sente parlare spesso di machine learning. In parole povere si tratta di una branca dell’intelligenza artificiale che riguarda la capacità delle macchine di “imparare” da una serie di dati, dall’esperienza, se vogliamo, e in base a quanto appreso, attuare delle decisioni. Il machine learning si può applicare alla guida autonoma (le auto senza pilota o con pilota passivo) o più banalmente a catalogo di Netflix che cambia in base alle nostre scelte.

Oggi Instagram vuole utilizzarlo per un nobile intento: la lotta al cyberbullismo. Ad annunciarlo è Adam Mosseri, da pochi giorni a capo della ricchissima piattaforma digitale. Esiste già, infatti, il classico metodo di segnalazione da parte degli utenti in caso di post ritenuti in qualche modo violenti o inadatti alla policy aziendale, ma da oggi un algoritmo complesso analizzerà i nostri post video e fotografici e gli annessi testi, a caccia di elementi che possano ricondurli a un atto di bullismo. A quel punto i post in oggetto verranno sottoposti a un team dedicato che provvederanno a una verifica di natura “umana” e non automatizzata, per cercare di essere quanto più precisi possibili.

Una bella iniziativa, sicuramente, sia eticamente, che in termini di reputation per il neo-eletto chief di Instagram. Anche il bullismo, infatti, sta al passo coi tempi e da anni si è spostato in maniera massiva sui social. Un argomento complesso quanto delicato. Proprio per questo la soluzione ideata da Instagram sembra essere più che buona. Le macchine individueranno tutti i post “sospetti”, ma sarà poi il giudizio umano a valutare di caso in caso gli eventuali provvedimenti, scongiurando così anche di penalizzare l’innocente sarcasmo!

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Strategia

Il carrello abbandonato e la marketing automation

Marketing automation contro l’abbandono estivo (e non) dei carrelli.

Le ultime settimane prima della pausa estiva sono sempre difficili per chi lavora in comunicazione. Ma a volte nonostante la voglia di staccare la testa, si trova qualche sorpresa.

Vi voglio raccontare la “casuale” richiesta che è emersa da parte un importante produttore nel settore enogastronomico che ha imparato negli anni a differenziare la propria produzione tra vino e alimenti di nicchia IGP e che vede nel mondo intero il suo mercato potenziale.

Consapevole delle potenzialità del mondo digitale l’azienda negli anni ha deciso di portare il proprio brand dal mondo analogico (fiere, presentazioni, brochure …) a quello digitale, con un sito vetrina che desse lustro alla “nobiltà” del processo produttivo e selettivo dei prodotti e poi con il fatidico “salto verso il mercato“, prima su marketplace terzi e poi direttamente sul sito di commercio elettronico.

Fino a quando il “cliente” operava su marketplace terzi, tutto sembrava andare bene, nessun intralcio se non qualche inceppo dal lato logistico. Il cliente pareva soddisfatto! L’e-commerce ha detto ben altro, facendo emergere il fenomeno del “carrello abbandonato”.

Lì per lì, il cliente non ci ha fatto caso a tutti quegli utenti che arrivavano ad un passo dall’acquisto e poi quando erano pronti in cassa per pagare improvvisamente uscivano dal “negozio” virtuale abbandonando tutto e tutti.

Un caso ci può stare, due casi ci possono stare ma quando i carrelli iniziano ad essere decine e ci si accorge che spesso ci sono serie di abbandoni di carrelli da parte dello stesso utente più volte, allora bisogna farsi delle domande. Il “cliente” ha chiamato l’agenzia che aveva progettato il sito e hanno lavorato duramente per migliorare l’esperienza del cliente ma … a questo punto il “carrello abbandonato” era diventato un tarlo del cliente

E a quel punto siamo arrivati noi, nel mezzo di una torrida giornata di luglio!

Chiacchierando con il “cliente” è venuto fuori questo tarlo e chiedendo quanti utenti avesse il suo ecommerce, quanti carrelli finalizzati avesse e il numero di carrelli abbandonati abbiamo chiesto …

“E perché non hai mai pensato alla marketing automation?”.

(Punto interrogativo che è rimasto sospeso sul tavolo un paio di secondi di troppo.)

Beh si dai, quel sistema di flussi che permette all’azienda che vende di iniziare a mandare email di richiamo, di sollecito, di ricordo, di invito. insomma una serie di mail differenti ai propri utenti in base ad una serie di “triggers”, attivatori di evento ..

Di fronte alla faccia interessata ma assolutamente ignara del cliente, ci siamo messi a spiegare come oggi, senza spendere valanghe di soldi in sistemi di marketing automation super strutturati, si possono creare flussi di comunicazioni automatiche facendo dialogare banalmente il sistema di ecommerce e un sistema di mail marketing.

sai, in base al comportamento dell’utente è possibile mandare una comunicazione (informativa, commerciale o di ringraziamento)  ai tuoi utenti che hanno fatto e/o non fatto una determinata azione nel sito. Non solo ma oggi puoi anche creare flussi che definiscono gli invii anche su base temporale: dopo 24 ore da questo evento mandi la mail T2, dopo 48 ore se è successo anche l’evento “A” mandi la mail T3A …“.

“OK! Sembra tutto molto complicato e astruso ma ti posso assicurare che è molto più complesso da descrivere che da realizzare e organizzare. Basta un po’ di testa, che tu ci spieghi come si comportano normalmente i tuoi clienti e il nostro programmatore che faccia dialogare un po’ di informazioni prese dal tuo sito al sistema di mail marketing.”

Va beh non vi tedio con i dettagli di quello che abbiamo fatto ma vi posso solo dire che dopo 45 giorni di flussi attivi non abbiamo più carrelli abbandonati ripetuti e per ogni utente che “si azzarda” ad abbandonare il carrello da qualche parte all’interno di quel negozio virtuale, oggi abbiamo una serie di cortesissime commesse virtuali che lo inseguono per tutto il negozio e provano a convincerlo a riprendersi il suo carrello e andare alla cassa!

Venghino siori venghino.

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Web

Il peso di un’assenza digitale vs la leggerezza di una buona presenza digitale

Come piccola agenzia di comunicazione il nostro compito è andare a cercare sempre nuove opportunità, nuove lead, nuovi possibili clienti che ci diano fiducia e che comprendano come a volte affidarsi ad una realtà mediamente piccola può voler dire trovare uno straordinario compromesso di qualità e prezzi interessanti: paragrafando un inflazionatissimo slogan, “artigiani di qualità”.

Oggi voglio raccontarvi della presenza digitale, anzi dell’assenza digitale, di un’azienda dalla storia estremamente significativa.

L’azienda è una importante realtà metalmeccanica con reparti di stampaggio acciaio, lavorazioni meccaniche che operava principalmente nel settore automotive ma che ormai da anni spazia in ogni direzione con il suo nuovo reparto di progettazione, prototipazione e fabbricazione di materiali meccanici on demand. Insomma se uno legge la descrizione dell’azienda uno può pensare di essere davanti ad una delle tante eccellenze italiane che porta lustro al made in italy nel mondo.

E l’azienda è proprio questo.

Un’azienda storica che è partita dal mondo della metalmeccanica di una volta e che oggi ha decisamente più ingegneri e tecnici ad elevata alfabetizzazione informatica piuttosto che lattonieri o meccanici. 

Ma, incredibile a dirsi, questa azienda ha una presenza digitale veramente trascurata. Un sito realizzato anni fa in flash che toglie ogni tipo di lustro o prestigio a quella che è veramente un’azienda sana e innovativa. Pensate che la prima volta che l’ho cercata su google e ho aperto il sito mi sono chiesto se l’azienda non fosse chiusa o avesse avuto problemi finanziari.

Quando riesco ad entrare in contatto con la proprietà quello che mi raccontano è una triste storia condivisa da molte aziende italiane di oggi.

Lei è quello dei siti vero?”. “Si beh veramente non solo del sito …”.

Non riesco a finire la frase che l’imprenditore mi interrompe con “voi che fate web mi avete chiesto un capitale per fare una cosa che non funziona, ci avete messo mesi per realizzare tutto, chiedendomi testi, foto, slogan, dove avrei potuto fare fuoco e fiamme e invece non ho neanche capito come fare ad entrarci”… “e meno male che non abbiamo spostato anche le mail come ci avevano consigliato, se no mi sarei perso tutto”. 

Insomma la solita situazione in cui negli anni d’oro del web, si è creato un sito “custom” in 6 lingue prendendo i contenuti direttamente dal cliente e il preventivo è stato di “troppe migliaia di euro“.

Ma il vero problema è che oggi se hai una presenza digitale non adeguata, hai un problema.

Oggi tutti ti cercano su Google e se il risultato è un sito di 5/10 anni fa, il pensiero è che la tua azienda sia stata travolta dalla crisi o qualcosa di simile.

Oggi però fortunatamente per realizzare un sito vetrina – anche in sei lingue si! – con un testo ottimizzato un minimo per i motori di ricerca, con immagini meno bulgare e che racconti al mondo quanto l’azienda sia innovativa, piena di futuro e di opportunità per i propri dipendenti, clienti e fornitori … tutto questo si può fare in poche settimane di lavoro e il prezzo non è più nelle decine di migliaia di euro. Anzi.

Dopo un lungo lavoro ai fianchi, siamo riusciti a convincere la proprietà a darci credito e sinceramente spero che sia un bel biglietto da visita per convincere altre aziende a realizzare un sito vetrina che dia lustro e la giusta importanza alla loro “impresa”.

 

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Social

Si fa presto a dire social media manager, ma Instagram è ancora tutto da scoprire!

Da quando Instagram ha stravolto il panorama social, tutti quelli nati prima degli anni ’00 si sentono dei matusa!

Si fa presto a dire social media manager. Ma prima che un professionista del settore, il social media manager deve essere uno/a sul pezzo.

Mi occupo da qualche anno ormai di social. Ma cosa vuol dire social media? Facebook? Twitter? In effetti li ho visti nascere, sono stata parte attiva, insieme a milioni di utenti, dell’evoluzione di queste piattaforme. Certamente gran parte del lavoro lo fanno gli sviluppatori e il team marketing probabilmente, decidendo questa o quella evoluzione. Ad esempio introducendo le Pagine, Facebook ha spalancato le porte all’adv, sia sponsorizzato che non.

Fin qui è storia nota, soprattutto per quelli della mia generazione, (anno di nascita 1989).
Ma ahimè, mentre io ero immersa nella consueta gestione di Facebook, Twitter, Linkedin, nasceva una nuova creatura, o meglio rinasceva. Instagram è in effetti un grande sconosciuto per noi over 25, almeno nella sua evoluzione più attuale.

Partiamo dal presupposto che in Italia le novità tecnologiche arrivano sempre leggermente in ritardo, un po’ come le voci dei nonni che ci chiamavano dai primi modelli di proto-cellulari. E quindi, Instragram per come l’ho visto nascere io era una cosa per pochi, scarna, semplice, bella, ma comunque prevedeva un uso saltuario e misurato. Era il social delle fotografi belle, o più spesso di foto qualsiasi con effetti random che rendevano luminescenti e favolosi anche le immagini del piatto di pasta condito con tonno in scatola. Il tutto rigorosamente accompagnato da improbabili hashtag come #instagood #instafood #instaepic e via dicendo (molti di questi sono tristemente ancora in voga). Ma da allora tutto il resto è cambiato. Dopo le intramontabili foto tema food sono poi arrivati gli ormai irrinunciabili selfie: correva l’anno 2010 quando l’uscita dell’iPhone 4, con la sua fotocamera anteriore, apriva la strada all’autoscatto. E oggi?

Come ogni anno anche quest’estate mi pongo un obiettivo, per tenere attivo il cervello anche sotto il sole di agosto. Quest’anno invece di prefissarmi interminabili letture ho sfidato me stessa a padroneggiare Instagram, in 15 giorni. E ho scoperto di avere delle voragini da colmare. Da utente sporadica, ho iniziato a passarci le ore, a sperimentare con il mio profilo privato, con risultati discreti, credevo… fino a che Rossella, un’amica classe 1995, un giorno me l’ha dovuto dire: sei vecchia. SILENZIO. Non sono certo frasi che si dicono a una quasi trentenne, ma l’ho lasciata parlare.

Le storie che fai sembrano quelle di mia madre se solo sapesse che esistono le Instagram stories

Infatti dovete tenere conto che ormai anche le stories hanno uno “storico”. E gli utenti hanno già deciso tendenze e regole non scritte. Un po’ come se qualcuno si iscrivesse oggi a Faceboook senza conoscerlo minimamente e spontaneamente risponderebbe alla domanda retorica “A cosa stai pensando”, proprio come facevamo noi teenager quando il social era ai suoi albori. Non ditemi che Facebook non delizia anche voi quasi ogni giorno con perle di saggezza dal passato: Sto pensando che fa caldo e vorrei tanto un gelato. Insomma, per imparare, abbiamo dovuto sbagliare. Ecco io a quanto pare faccio le storie come si facevano nella preistoria (oggi, infatti, le ere durano solo pochi mesi).

Non si usa più fare le scritte così grandi, così storte, è trash. Mi reguardisce la mia amica.
L’importanza va data al soggetto. Instagram, infatti, rimane sempre il social del bello.

I tag, quindi, vanno integrati nella foto, non sono un abbellimento, ma hanno una funzione tecnica, quella di inviare una notifica al soggetto taggato e quindi un link diretto della tua storia al suo profilo e la possibilità per il destinatario di ricondividere la stessa storia: un‘ulteriore possibilità di engagement quindi.

Ancora una volta a vincere (come in tutti i settori legati alla grafica negli ultimi dieci anni circa) è la semplicità, la pulizia. Pochi elementi, belli. Lo ha fatto proprio Instagram con un rebranding che prevede un logo molto stilizzato, molto minimal.

Per lo stesso motivo ora e luogo è meglio metterli in grigio asserisce Rossella. Le scritte tutte colorate, grandi, lasciamole agli adolescenti in cerca di identità.

Devi coinvolgere i tuoi follower. In effetti non parlare con i vostri follower, è un po’ come rimanere muti a lungo in ascensore con il tuo vicino di casa. Pubblichi una storia e vedi chiaramente le visualizzazioni aumentare e puoi leggere i nomi degli utenti che hanno visualizzato il tuo contenuto e loro sanno che tu sai. Insomma siete nella stessa stanza virtuale, ma fissate il muro senza nemmeno salutarvi. Come rimediare? Inserite sondaggi, buffi o reali che siano, all’interno delle vostre storie. O ancora meglio iniziate una diretta se avete qualcosa di interessante da dire e interagite direttamente con gli spettatori e i loro commenti. Le dirette sono una risorsa preziosa. Ogni volta che ne iniziate una, Instagram invia una notifica ai vostro follower, quindi usatele con intelligenza, fatele durare almeno il tempo necessario affinché tutti ricevano l’alert della diretta e cercate di curare un minimo l’immagine.

Soprattutto se fate marketing non potete permettervi di non avere le idee chiare, a partire dei vostri profili privati. Quella è la vostra palestra personale, date retta agli amici più giovani e abusatene con coscienza!

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Social Strategia

Sponsorizzate? Pagare i click non ha mai funzionato

Dovrebbe essere ormai chiaro a tutti che piazzare un budget, anche alto, sulle sponsorizzate non basta più, forse non è mai bastato e comunque non dà i frutti sperati.

Perché?

Perché il social network, lo abbiamo detto in precedenza, è il luogo della condivisione in senso romantico. Il luogo per eccellenza del marketing emozionale, e di emozionale la sponsorizzata non ha proprio nulla. Soprattutto perché si vede.

Partiamo da una diffidenza di base dell’utente di fronte agli Adwords & co. Talvolta addirittura per principio, l’utente scansa il contenuto pubblicizzato in favore di quello organico, recepito come genuino.

Come se ci fosse del marcio nel pagare la visibilità, almeno in un mondo in cui possono averla tutti, puntando sulla qualità dei contenuti. Certo, nessuno dice che sia semplice. Messa così sembra addirittura meglio, pagare non serve… quindi la visibilità è gratis? Magari!

Innanzitutto è anche sbagliato sostenere che sponsorizzare le proprie pagine aziendali sia del tutto inutile. Va fatto nel modo e nei tempi giusti.

Inutile puntare solo sulle sponsorizzate per un business nascente e quindi sconosciuto.

Una visualizzazione di per sé non ha un grosso valore. O meglio: nel caso di un brand sconosciuto, ha un costo maggiore del beneficio che porta. Probabilmente non porterà ad alcuna interazione e sarà quindi infruttuoso poiché non aumenterà la credibilità recepita dell’azienda. Come giudicate quei desolanti post con 0 commenti e 0 reazioni che sono solo una becera esecuzione di un calendario editoriale sistematico e mal gestito? Tutti li giudichiamo per quello che sono: tristi.

Quindi dove è meglio spendere i soldi prima che per le sponsorizzate?

Bisogna partire da metodi, per così dire, tradizionali. Creare una base solida di reputation sul campo: investire sul content e avere clienti così soddisfatti da farci da ambassador.

Non ve la siete scampata dunque, i soldi vanno investiti e non le poche centinaia di euro delle sponsorizzate, ma ben di più. Soldi e tempo, perché i risultati non piovono dal cielo così come i click.

La SEO content creation costa cara, se fatta bene. Bisogna affidarsi a persone competenti e affezionate al progetto. Se fatta in modo approssimativo e mediocre, tanto vale non farla, perché ritorneremmo al desolante quadro 0 condivisioni 0 reazioni.

Il passaparola, croce e delizia di ogni azienda, nemmeno quello è gratuito. Bisogna prendersi particolare cura dei primi clienti (senza trattar male quelli a venire, per carità), ma consapevoli del fatto che quel di più che si “regala” ai primi lavori (in termini di follow-up e customer-care) sia anche un investimento pubblicitario, e non un’inutile spesa.

Solo creati i presupposti vale la pena mettere in budget la voce per sponsorizzate & Adwords, e ancora la strada sarà lunga per convertire i click ottenuti.
Dapprima sarà il caso di mettere nel target gli attuali clienti e simpatizzanti. Inutile? Direi di no, solo così i simpatici algoritmi che regolano la rete capiranno che siete affidabili, stimati e condivisi, abbassando il costo delle visualizzazioni che vorrete ottenere. Solo allora avrà senso allargare il target, poco alla volta e in maniera molto accurata, per evitare di fare passi indietro.

Non ci si improvvisa social media manager, eppure nessuno saprà davvero insegnarvelo. Perché i social media cambiano ogni giorno e hanno una storia troppo breve per essere chiamata tale. Ascoltate i consigli che vi sembrano più sensati e sperimentate, passateci le ore sulle piattaforme che volete sfruttare. Come pensate di poter giocare a calcio leggendo un manuale e senza aver mai toccato un pallone? Iniziate a palleggiare al parchetto e poi fate il vostro esordio sul campo vero. Giocando e sbagliando, si impara.