Categorie
Strategia Tendenze

I tuoi giorni migliori non sono in vendita

La nostalgia, lo abbiamo letto ovunque, è letteralmente “il dolore del ritorno”.  Non un dolore lacerante, ma quella piacevole sensazione che ti contorce lo stomaco quando un volto che non fa più parte della tua vita ti torna in mente di sorpresa. Ti incanti fissando il vuoto, ti culli in un ricordo.

Perché tutte le persone che non ci sono più, tutte le storie finite e tutte le cose che non possiamo più avere, le ricordiamo più belle, più rosee di come non fossero in realtà? A rispondere è la psicologia, si tratta di un errore cognitivo definito retrospettiva rosea.

Il marketing della nostalgia sfrutta proprio questo inganno della mente per colpire il consumatore proponendo una grafica vintage, reinventando prodotti già in commercio da decenni o addirittura riproponendo beni precedentemente ritirati dal mercato.

Il marketing della nostalgia è così efficace che sono gli stessi consumatori a farlo. Così dimostra la vicenda Winner Taco. Il gelato rivestito di cialda e cioccolato fece il suo debutto sul mercato italiano nel lontano 1998 e in realtà durò solo pochi anni. Dopo un silenzio di oltre 10 anni i suoi fan hanno iniziato una vera e propria campagna di protesta per ottenere il ritorno dell’Orso Bianco. A suon di troll e meme che hanno invaso le pagine di Algida e dei maggiori prodotti di punta del brand, i fedelissimi del Taco sono riusciti nel loro intento: nel 2014 il Winner Taco è tornato ad allietare le estati italiane, facendo felici i nostalgici che hanno da allora potuto rimpiangere altri oggetti di culto.

Tutte le grandi aziende sono cadute nella tentazione del marketing nostalgico. A partire da Coca-cola, che ha celebrato con una massiccia campagna comunicativa un secolo di storia della iconica bottiglietta in vetro, festeggiato il 16 novembre 2015. Lo ha fatto anche l’industria cinematografica tirando fuori dal cilindro il sequel di film che hanno segnato un’epoca come Trainspotting o It. Anche Fiat ha dato il suo contributo per riportare il mondo un passo indietro. Ha rispolverato prima la gloriosa Fiat 500 e recentemente la 124 Spider, un’icona di spensieratezza e aria tra i capelli. Sembra che tutto il mercato remi all’indietro.

La nostalgia, il ricordo delle cose passate – come suggerisce William Shakespeare – è l’unica àncora fissa a cui appigliarsi nell’epoca delle incertezze.

Il marketing della nostalgia non solo funziona, ma è anche redditizio. Ha un target preciso: gli odierni quarantenni. Persone che solitamente hanno un potere di acquisto superiore ai giovanissimi poiché godono di un impiego fisso trovato prima che la crisi esplodesse con tutta la sua forza. Non è solo una questione di disponibilità economica, ma di impostazione mentale. Chi è stato giovane negli 80s è per natura più propenso a spendere, che i soldi ci siano o no. Cosa non si fa per un pezzo di cuore. Per battere i figli a Super Mario Bros sul Nintendo 64.

Potete comprarvi un vinile degli Smiths, parlare al telefono con il 3310 e scattarvi una bella polaroid di gruppo. Quel che noterete però è che non sarà mai bello come allora. E poi vuoi mettere i selfie con l’IPhone?

Categorie
Strategia Tendenze

Come e perché attuare una campagna di marketing sms

Sappiamo già che la gestione di un business non si ferma alla fidelizzazione dei clienti già acquisiti ma spesso punta ad acquisirne altri. Eppure, in un contesto frenetico come quello attuale, è sempre più difficile ritagliarsi del tempo per ideare e sviluppare un’attività di marketing efficace. Inoltre, anche il pubblico a cui ci si rivolge rischia di essere troppo distratto perché le campagne di marketing abbiano davvero un senso.

In seguito a quanto ho appreso in un Webinar di 4DEM, nostro partner usuale nel direct marketing, vi spiego perché spesso è meglio basarsi su una campagna sms piuttosto che su una campagna email.

Gli sms rappresentano un canale privilegiato – più del 95% degli italiani possiede un cellulare, nella maggior parte dei casi uno smartphone. Il tasso di apertura di un sms è del 97% e la sua efficacia è massima, soprattutto se rapportato a un’email.

Quando una campagna non è troppo insistente, per di più, gli utenti sono ben disposti nei confronti di offerte e promozioni arrivate tramite sms, essendo immediati e, passatemi il termine, facili. Inoltre, il canale sms si presta a un’ampia varietà di prodotti e mercati fino a coprirne quasi la totalità.

Di seguito vediamo quando utilizzare una campagna marketing sms e come massimizzarne l’efficacia.

Come detto in precedenza, gli sms sono immediati. Essendo immediata anche la fruizione, è consigliabile, soprattutto nel caso di promozioni flash, avviare la campagna il giorno o la sera precedenti a quello della promozione stessa. Il tutto finalizzato a massimizzare l’interesse del cliente, grazie anche all’imminenza dell’offerta.

Altri casi in cui è consigliabile utilizzare una campagna sms sono la promozione di eventi – con qualche giorno di anticipo e un promemoria a poche ore dall’inizio – e la necessità di ricordare scadenze o appuntamenti.

Affinché una campagna sms sia davvero efficace è necessario essere chiari e concisi. Less is more, e non a caso: stiamo prediligendo l’immediatezza, quindi non possiamo farla scadere in un messaggio lungo e contorto.

Altra caratteristica fondamentale è la riconoscibilità: optare, quindi, per una campagna in cui gli sms abbiano un mittente definito – evitando di essere i classici “no-reply”.

Di vitale importanza, all’interno di una campagna sms, è poi la Call To Action, che non può e non dev’essere fraintendibile: un link che conduca al sito o a una landing page, e una richiesta chiara e accattivante per il potenziale cliente.

Non esiste, per concludere, un momento giusto o sbagliato per inviare una campagna sms. Tuttavia, è meglio affidarsi sempre al buon senso: niente campagne prima delle 9 del mattino, né oltre le 21.

Categorie
Strategia Tendenze

Com’è andato l’e-commerce nel 2017? Bene, ma non benissimo (in Italia)

Più le nostre vite si fanno frenetiche e imprevedibili, più il settore e-commerce cresce e supplisce alle limitazioni dei negozi fisici. A dispetto di supermercati e ipermercati aperti sempre e comunque, la comodità di ordinare con un click vince, consentendo di scegliere tra milioni di prodotti differenti.

Consultando diversi report sull’argomento, risulta che siano 1,6 miliardi gli utenti in tutto il mondo che hanno acquistato prodotti on line, per una spesa di quasi 2 trilioni di dollari. Impressionante, eh?

I mercati più vivi, neanche a dirlo, sono quelli che possono permettersi di spendere (tendenza che caratterizza anche la vita reale!): Cina e Stati Uniti innanzitutto e, per quanto riguarda l’Europa, in testa c’è la Germania.

In Italia, si sa, siamo restii ai cambiamenti, ma Amazon è entrato nel cuore di molti di noi.

Come per il resto del mondo, i settori trainanti sono turismo e tempo libero (Airbnb, TicketOne, etc.); mentre ad aumentare il proprio giro d’affari negli ultimi mesi sono i settori di salute, bellezza e alimentari. Quest’ultimo dato stupisce in un Paese come il nostro, dove il cibo non è solo nutrimento ma un vero e proprio piacere. Tradizionalmente, anche fare la spesa è un momento a cui dedicare tempo e dedizione, per scegliere i prodotti migliori per qualità e prezzo. Oggi cambia anche questa abitudine, lentamente. Pensiamo a chi non ha un’auto a disposizione, a chi è anziano o vive fuori città, lontano da tutto. Oggi le principali catene di supermercati offrono un servizio di delivery rapido ed efficace con consegne stabilite nell’orario preferito dal cliente. Comodo, eh? Niente più casse di acqua faticosamente trascinate dalla macchina a casa o su per le scale!

Per non parlare della fortuna di Just-eat e Foodora che, grazie ai loro fattorini su due ruote, riescono a fornire nelle grandi città un servizio che i clienti (da studenti a imprenditori) sembrano apprezzare parecchio (mentre insorgono i sindacati per le paghe da fame dei giovani fattorini).

E il B2B?

L’ambito del business to business ha certamente regole del gioco diverse e di conseguenza lo stesso vale per il relativo e-commerce.

Se in ambito B2C, “la vendita” è un processo che può essere rapidissimo e logisticamente più semplice, quando si vende alle aziende invece di solito si parla di grossi quantitativi e di acquisti che vanno curati con maggiore attenzione da parte del cliente/azienda.

Diventa fondamentale, quindi, inserire ad esempio l’opportunità di fornire un preventivo al possibile acquirente, in modo che l’azienda possa valutare se procedere all’acquisto.

Imprescindibile è anche un’ottima gestione delle transizioni di denaro, che spesso riguardano grosse cifre, e la cui gestione deve rimandare un’idea (e una sostanza) di sicurezza e tutela dei dati, oltre a offrire l’opportunità di rateizzare l’intero l’importo.

Anche la natura del rapporto tra venditore e acquirente dev’essere gestita diversamente in ambito B2B. A differenza del B2C, infatti, i clienti sono di solito abituali, quindi diventa necessario curare particolarmente il customer service e la user experience, che dev’essere personalizzata e impeccabile. L’azienda acquirente deve sentire che dietro al “sistema e-commerce” ci sono persone fisiche che conoscono le loro esigenze e il loro business.

Ah, a proposito. L’altro giorno ero in una famosissima catena di elettronica di livello mondiale e dovevo comprare un Hard Disk da 1Tb per fare il backup di tutti i contenuti del mio pc di casa e ovviamente date le feste “il prodotto non era disponibile”. Mentre uscivo dal negozio abbastanza contrariato, sono entrato su Amazon e ho trovato lo stesso prodotto a 5 euro in meno e il giorno dopo me l’hanno portato direttamente a casa.

Bisogna dirlo: l’e-commerce se fatto bene è tutta un’altra cosa!

Categorie
Contenuti Social Strategia Tendenze

Come utilizzare i social per trovare Lead

Si definiscono “lead” i potenziali clienti che mostrano un certo interesse nei confronti del brand, dei prodotti o dei servizi di un’azienda.

Si tratta di contatti che, ad esempio, si sono iscritti alla newsletter, hanno scaricato un contenuto o hanno contattato telefonicamente o per email l’azienda in questione.

Uno dei principali vantaggi di utilizzare i social media per generare lead è la possibilità di concentrarsi su profili altamente qualificati, grazie al targeting avanzato: i social media permettono, infatti, di entrare in contatto con un pubblico molto vasto e con una miriade di informazioni volontariamente condivise.

Allo stesso tempo, uno degli errori più facili da commettere è cercare i contatti sul social network sbagliato: una lead generation ideale necessita, prima di tutto, di conoscere il proprio target, le sue abitudini e le sue esigenze.

Vista la maggioranza di utenti è facile pensare che Facebook possa essere la scelta migliore, ma non è sempre vero: circa la metà delle aziende che operano in ambito B2B, infatti, genera nuovi lead attraverso Linkedin, meno del 40% usa Facebook e appena il 30% Twitter.

Un altro aspetto fondamentale è il tipo di lead che si vuole ottenere, perché è in funzione di questa scelta che si studia la strategia, che solitamente prevede due fasi: creazione di contenuti in grado di intrattenere e interessare gli utenti e condivisione degli stessi su altre piattaforme (altri social network, blog, siti web).

Quando si parla di Lead è importante comprendere che non si tratta di un guadagno facile né tanto meno immediato. Il percorso che porta i Lead a essere Clienti richiede un investimento di tempo definito “nurturing”, cioè nutrimento. I Lead sono le sementi che piantiamo in quantità; sappiamo che dobbiamo prenderci cura di ogni seme, innaffiandolo regolarmente e concimando il terreno con la consapevolezza che solo alcuni daranno vita a una pianta.

Ma come si nutrono i lead?

Con contenuti validi e interessanti.

Può sembrare una perdita di tempo o un investimento sproporzionato ma, studiando bene il target di riferimento, la Lead generation può creare un bacino di utenti/clienti più che solido, che contribuirà direttamente al benessere aziendale o aiuterà ad ampliare ulteriormente reputation e contatti attraverso il passaparola digitale.

Feed your lead!

Per concludere, vi lascio con una domanda che mi sono posto spesso, di recente: “Di che colore è il vostro Brand?”

Un colore è identificativo e la risposta a questa domanda non è mai definitiva al 100%. Provate a rifletterci, individuate l’essenza del vostro brand, datele un colore. Sceglietelo d’impulso e accostatelo alla vostra filosofia, al vostro metodo, al vostro rapporto con il brand.

Vi verrà spontaneo, a un certo punto, chiedere di più.

Il colore scelto d’istinto non è definito, ha in sé milioni di sfumature. Ed è solo con uno studio approfondito che si scova la gradazione capace di rispecchiare al 100% la vostra Brand Essence.

Se il vostro istinto vi porta verso un giallo, per intenderci, in un secondo momento vi verrà da chiedervi se quel giallo sia giallo ambra, crema o giallo limone. È questo il percorso che vi invitiamo a fare, con noi al vostro fianco. Saremo in grado di guidarvi, mostrarvi ogni possibile gradazione, lasciando comunque che siate voi a trovare la vostra.

Categorie
Contenuti Social Strategia Tendenze

Essere o non essere? No, il problema è l’essence

Il brand è ciò che il cliente percepisce, un insieme di sensazioni e di emozioni che rappresentano la reputazione dell’impresa. Per definizione, prende posizione su uno specifico modo di essere e di pensare, acquista caratteristiche quasi umane – e infatti parliamo di anima, essenza – e, come gli umani, ha la possibilità di evolvere nel tempo.

Il brand necessita di un nome giusto, un nome che coinvolga il pubblico, facile da pronunciare e che tenga fede al mercato di riferimento, e di un logo che non sia banalmente descrittivo ma abbia in sé una capacità evocativa non indifferente.

Per ottenere il massimo dell’efficacia, la brand essence dev’essere:

  • Unica: deve evidenziare ciò che rende il prodotto offerto dall’azienda diverso dai competitor
  • Intangibile: il brand deve suscitare emozioni, qualcosa che non possa essere toccato con mano ma in grado di colpire
  • Ben definita: una o massimo due/tre parole devono bastare per esprimere il core dell’azienda, un messaggio semplice e facile da ricordare che si imprima nella memoria
  • Esperienziale: cattura le emozioni che il cliente prova con l’esperienza del prodotto, e le riporta
  • Significativa: deve avere importanza per il target di riferimento dell’azienda
  • Ripetitiva: la brand essence deve realizzarsi ogni volta che il cliente interagisce con il brand
  • Durevole: non deve mai cambiare nel tempo ma rispettare il patto fatto con i propri clienti
  • Autentica: deve rappresentare onestamente il brand per essere accettato dai consumatori
  • Adattabile: dev’essere in grado di resistere nonostante la possibile crescita del business.

Individuare l’essenza del proprio brand è indispensabile per qualunque impresa e rappresenta il primo passo verso il mondo del marketing: la brand essence rappresenta, infatti, il più grande punto di forza di un’impresa, ciò attorno al quale ruoterà il suo mercato.

Solo dopo aver definito la propria brand essence si può parlare di strategia di marketing o di piano d’azione, di target e di commercio vero e proprio.

Un esempio di come una brand essence ben definita sia un assoluto vantaggio, è certamente quello di Ceres. Ha da qualche anno messo in atto una strategia di real time marketing possibile solo grazie a un’essenza inossidabile e delineata. Ceres è decisa, ironica e dissacrante e così lo è la sua comunicazione.

Solo un brand che conosce alla perfezione il suo target può permettersi di essere irriverente come Ceres senza rischiare di perdere consenso.

Se il brand fosse un albero, la sua essenza sarebbe la linfa, l’attributo più importante che lo distingue dalla concorrenza, la costante tra tutte le categorie di prodotto del brand.

A proposito, da qualche settimana ci gira in testa una domanda:

“Di che colore è la vostra azienda?”.

Rifletteteci e datevi una risposta prima di pancia e poi di testa. Se la risposta non è significativa, sentiamoci, potrebbe essere interessante scoprire come mai il “giallo della pancia” non corrisponde al “blu della testa”.

Categorie
Contenuti Social Strategia Tendenze Web

La comunicazione 121 su larga scala

Il marketing one to one, la comunicazione 121 di cui si parla tanto oggi, non è altro che l’ennesimo ritorno al passato. Quella nostalgica voglia di vintage che sta invadendo ogni ambito. Un tempo ogni cliente era unico, speciale e prezioso. Quando si ragionava sulle persone piuttosto che sugli utenti, navigatori, user. Prima dell’avvento dell’e-commerce e diciamo anche prima della GDO.

Ora il marketing vuole tornare a parlare con te, vuole conoscere la tua storia e porre in evidenza la tua individualità. Sfida ambiziosa ai tempi del web.

In realtà la Rete, a differenza di mezzi come la televisione e i giornali, fornisce un’infinità di informazioni sui potenziali clienti. Basta saperle sfruttare.

L’obiettivo di questo tipo di marketing non è tanto attrarre nuovi clienti, quanto conoscere così bene quelli attuali da rispondere alle loro esigenze e fidelizzarli. Insomma, se quella tra massive market e clienti è la scappatella di una notte, quella che cerca di costruire il marketing 121 è una vera storia d’amore.

Il marketing one to one originariamente si compone di 4 fasi che rispondono ad altrettante domande:

  1. Chi sono i miei clienti?
  2. Come si distinguono gli uni dagli altri?
  3. Come posso entrare in contatto diretto con loro?
  4. Cosa posso offrire di perfetto per uno piuttosto che per l’altro cliente?

Attraverso il sito web aziendale si interagisce con l’utente. Dalla richiesta di informazioni su un prodotto, agli ordini, all’assistenza tecnica: tutte queste informazioni devono essere a disposizione di chi gestisce il marketing. Insieme a questi dati e alle tracce lasciate dall’utente nel web al suo passaggio. Una volta individuati i differenti cluster, cioè gruppi di clienti simili, si procede con il contatto diretto che può avvenire:

  • tramite e-mail (DEM), prediligendo gli utenti che hanno acconsentito all’invio di comunicazioni commerciali;
  • tramite comunicazioni istantanee dal proprio sito aziendale attraverso l’apertura di pop-up e finestre di dialogo. O sfruttando Telegram e la messaggistica di FB per essere sicuri di intercettare l’attenzione del cliente.

Un eccellente esempio di marketing one to one è la campagna condotta da Ferrero, “Nutella sei tu”. Nulla funziona più del nostro nome di battesimo per chiamarci in causa e farci sentire al centro dell’attenzione. Attraverso la pagina FB di Nutella è possibile richiedere l’etichetta personalizzata e farla recapitare direttamente a casa. Scelta azzeccata e sostenuta da una massiccia campagna promozionale televisiva.

Quando si parla di marketing online sembra impossibile rivolgersi all’Uno, lavorando ovviamente su numeri di clienti enormi. Quello che si deve fare è puntare a coinvolgere l’ambito emozionale e scovare tutti quegli aspetti che fanno sentire il cliente un unicum. Come se a chiamarti Marco, Giovanni, Luca, fossi solo tu che leggi e nessun altro al mondo.

Categorie
Contenuti Social Strategia Tendenze

Come si gestisce l’Instant communication di un evento?

Venerdì 13 ottobre si è svolta la settima edizione dell’E-Commerce Day presso il Mirafiori Motor Village di casa FCA a Torino. Villa Consulting era presente per occuparsi di tutta l’instant communication dell’evento.

Ma come si gestisce il live posting in questi casi?

Seguire un evento e gestirne la comunicazione live non è una cosa che si improvvisa con uno smartphone tra una chat e l’altra. Come ogni cosa fatta in ottica business, va fatta con metodo e professionalità. Il perché lo si fa, lo ha spiegato molto bene il mio socio Alessandro Chiavacci che sarà con me venerdì. Già, una persona non basta per gestire la comunicazione di un intero evento di questo tipo.

La preparazione inizia appena viene annunciato il programma con gli orari degli speech:

Step n.1

Si scarica l’elenco dei relatori e si dà un’occhiata alla loro digital presence sui social. Preferibilmente si selezionano gli account aziendali e le pagine pubbliche dei soggetti, ma se il profilo personale ha un taglio professionale, si prende in considerazione anche quello.

Step n.2

In una tabella si raccolgono tutti gli account presi durante lo step 1 e si creano così i tag per i nostri live post.

Step n.3

Si crea una lista di tag utili da utilizzare nella concitazione del live tweeting. Si parte da quello ufficiale dell’evento fino a quelli argomento dei dibattiti (visibili dal programma).

Step n.4

Per Twitter ci creiamo un bella scrivania ad hoc per l’evento. Con Tweetdeck, infatti, possiamo gestire più profili contemporaneamente, seguire l’hashtag dell’evento e i dibattiti intorno all’argomento, monitorare i profili dei relatori e degli altri partecipanti per tenere d’occhio i tweet da ritwittare. Sempre con quest’App potete gestire la programmazione dei tweet. Ad esempio il primo “cinguettio” di ogni relatore può essere il titolo dello speech, accompagnato dagli hashtag dell’evento e dai tag relativi a chi parla. Come vedete, anche il live posting può essere almeno in parte pianificato.

Finite le operazioni più tecniche non resta che decidere quanto essere Push con la frequenza dei post. Per Facebook è sempre meglio andarci piano. Essendo una piattaforma dalla vocazione più emozionale che business è consigliabile accompagnare un messaggio significativo con una testimonianza video o una bella foto o grafica. E non andare mai oltre i 2 o 3 post all’ora, pena la perdita di follower! Con Twitter invece potete strafare e raccontare fedelmente ogni passo dell’evento. Le citazioni sono i tweet perfetti, ma anche un breve commento può arricchire il vostro lavoro. Per Instagram, se non riuscite a fare delle foto valide, potete mettere una pezza utilizzando una bella grafica per inserire le quote degli speaker, una a relatore può andare bene. Ovviamente gli scatti dei relatori più importanti sono sempre d’obbligo, per non parlare delle foto del ricco buffet finale: quelle mettono d’accordo tutti!

Categorie
Contenuti Strategia Tendenze Web

Se la SEO non basta più mettici del tuo

Lavorando nel marketing da molti anni, ho avuto a che fare con diversi copywriter e con il tremendo spauracchio della SEO (Search Engine Optimization): una risorsa e una croce al tempo stesso.

Chi scrive per mestiere, solitamente, lo fa per passione. Ama le parole e riesce a trovare quelle perfettamente calzanti in ogni situazione, per ogni cliente, anche quando l’argomento non è dei più stimolanti. Si tratta di un lavoro di ingegno e di ricerca preliminare, di ridefinizione; lo definirei l’operato di un artigiano della parola.

Ora potete immaginare come la logica delle keywords e dei misteriosi algoritmi di ricerca abbia procurato una grande frustrazione a chi lavora con la creatività nel mondo della scrittura. Scrivere per la SEO equivale a chiedere a un pittore di fare un quadro utilizzando solo linee rette. Limitativo è un eufemismo.

Il problema è che, non solo fare SEO copywriting è noioso, ma spesso è anche poco utile per come viene fatto in molte agenzie. Per fortuna, infatti, Google e i suoi algoritmi sono molto più intelligenti di quanto pensiamo. Non basterà scrivere ripetutamente la stessa parola chiave, magari scopiazzando qua e là da contenuti altrui: questo non è copywriting e per di più Google comprenderà il giochetto e penalizzerà il contenuto in questione.

La produzione di contenuti è un’arma incredibile, soprattutto per i business di piccole e medie dimensioni. Permette un contatto diretto e genuino con l’utente, che non ama leggere testi ripetitivi e piatti. Se è vero che per essere letti bisogna essere trovati e che la scelta dei termini risulta comunque importante, altrettanto vero è che essere trovati non basta!

La SEO esiste e bisogna farci i conti. Ma quando si parla di contenuti editoriali e di content marketing, bisogna fidarsi di chi lavora sulla lingua affinché sia efficace per chi la legge, più che per chi la analizza. L’indicizzazione sta a cuore all’azienda e al copy, che vuole vedere riconosciuto il proprio lavoro ma che deve anche godere della propria autonomia. Dev’essere libero di diradare le parole chiave e sfruttare gli ornamenti della bella scrittura, perché paga; per lo stesso motivo, riceve più click uno status Facebook da 2000 caratteri piuttosto che una frase urlata e colorata. Le persone apprezzano la complessità di pensiero e si addentrano volentieri in discorsi ricchi di spunti e rimandi. Dopo aver sottovalutato i celebri algoritmi di ricerca, non sottovalutiamo anche la curiosità delle persone.

Se parliamo di copywriting si presume che ci sia un prodotto/servizio da vendere o un’azienda da far conoscere.

Chi si farebbe convincere da un testo che scade nel keyword stuffing (eccesso di ripetizioni della parola chiave) e non dice nulla di nuovo o coinvolgente?

Il rapporto cliente/azienda è oggi più che mai un rapporto di fiducia. Tra migliaia di aziende a portata di click, io scelgo quella che cura ciò che fa e lo fa per me che leggo.

Come ha detto Bill Gates:

Content is King.

E scrivere è un’arte, non un algoritmo.

Categorie
Social Strategia Tendenze

I numeri sui social: qualità o quantità?

Oggi una delle cose più importanti nel mondo digitale è il pubblico che abbiamo. Ricevere il consenso e misurare la sua consistenza, quantificare l’interesse che si riceve, sono tutti indici utilissimi che ci descrivono il successo o meno della nostra attività sul web. Anche perché, alla base delle interazioni online, c’è una componente “residua” del mondo offline: la fiducia. Infatti, soprattutto nel mondo digitale – dove l’interazione è mediata da macchine – diventa importante stabilire un rapporto basato sulla fiducia.

La quantificazione di questi indici si traduce, banalmente, in numeri. Numeri che possono tradurre una situazione reale oppure fittizia, e che quindi potrebbero potenzialmente falsare la nostra analisi. Se comprendiamo che descrivono una situazione con reale riscontro nella realtà, allora possiamo davvero trarne beneficio, sia per migliorare il tiro, sia per capire i nostri punti di forza.

Da cosa sono dati i numeri reali (o realistici)? Dall’interazione degli utenti. Se questa interazione, questa partecipazione e questo coinvolgimento derivano davvero dall’entusiasmo degli esseri umani che stanno dietro alle macchine, saranno click che condizioneranno sicuramente gli algoritmi, facendoci capire il valore del contenuto (o del prodotto) che proponiamo.

La visibilità, quindi, dev’essere ottenuta organicamente, come frutto di condivisioni e conversazioni online, cioè di click che aprono il contenuto e mostrano per questo un reale interesse degli utenti.

Non si tratta di una faccenda puramente matematica: le interazioni sono importanti per il loro livello umano. Le interazioni degli utenti, delle persone, sono la base sulla quale costruire un rapporto con loro, uno scambio che può generare l’opportunità. Non c’è insomma da elogiare troppo pagine con migliaia di follower se, in quanto a rapporti, contano invece poche interazioni. Meglio avere meno seguaci, o fan – chiamateli come volete – ma attivi, che mostrino un interesse per ciò che proponete.

Ma come si fa la differenza in un mondo social sempre più popolato? Bisogna fare un confronto fra il numero di fan e quello delle loro interazioni, fra apprezzamenti, condivisioni e commenti. I social media non rappresentano solo un mondo di numeri e bit, ai social media corrispondono ambienti e persone fisiche. È il vostro atteggiamento che definisce il successo del vostro Personal Branding.

Più penserete alle persone, più avrete da loro risultati e riscontri. Più penserete alla moltitudine di emotività dietro ai click, più vi sarà chiaro come attirarli. Aprite la vostra mente e sentirete “l’amor che move il sole e l’altre stelle”.

Categorie
Social Strategia Tendenze

Mercati esteri e Social Media

Mi piacerebbe condividere con voi una riflessione sulla connessione tra l’internazionalizzazione e i social media.

Un’azienda che ha come obiettivo il mercato mondiale non può astenersi dall’approfondire lo studio di una strategia di comunicazione legata all’utilizzo dei social media nelle varie nazioni di riferimento.

Con il termine internazionalizzazione si intende il processo attraverso il quale le aziende instaurano diverse relazioni nei paesi interessati. Diventa fondamentale perciò seguire l’andamento dei social per poter definire la strategia più adeguata alle nostre esigenze.

social media sono diventati strumenti attraverso i quali è possibile individuare ciò che un determinato target richiede a un prodotto. Possono supportare le imprese nelle fasi di inserimento nei diversi mercati, dato che alla base del loro funzionamento vi è la relazione, che ne diventa l’elemento chiave.

L’utilizzo dei social permette di accrescere la brand awareness, cioè la percezione del marchio, riducendo le incertezze e i rischi dell’ingresso nei mercati internazionali.

È necessario che le aziende investano in questi mezzi consapevoli delle effettive opportunità che offrono.

Investire nei social media significa puntare alla creazione di network internazionali creando una strategia di comunicazione attenta sia alle conversazioni sul web sia all’analisi delle ricerche attraverso i motori di ricerca, per intuire ciò che i potenziali clienti vorrebbero. Lo studio dettagliato di questi dati permette di raggiungere i target e i Paesi in cui vogliamo spingere i nostri prodotti.

Affidarsi a dei professionisti sarà fondamentale, poiché vi aiuteranno a definire gli strumenti più utili alle vostre strategie di business.